La transizione energetica ci colpirà tutti!

di Francesco Casadio, Chiara Magrini e Francesco Lalli

Abbiamo intervistato Nicola Armaroli, chimico, dirigente di ricerca al CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) divulgatore ed esperto di conversione di energia solare in elettrica. È co-autore insieme a Vincenzo Balzani del best seller “Energia per l’Astronave Terra”


Buongiorno Nicola, prima di incominciare ci racconti di cosa si occupa il tuo gruppo di ricerca qui al CNR?

Ci occupiamo di due cose: da un lato sviluppiamo materiali luminescenti e soprattutto complessi metallici luminescenti a base di elementi non rari poco costosi e poco tossici, quindi principalmente rame, per utilizzarli in nuove sorgenti di illuminazione. Questa è una linea di ricerca che seguiamo da tanto tempo, abbiamo avuto anche vari progetti di tipo industriale.

Dall’altro lato studiamo i processi fondamentali che sono necessari alla conversione della luce in energia elettrica o in energia chimica. Studiamo quindi sistemi cosiddetti supramolecolari a vari componenti, alcuni di questi assorbono la luce, altri trasferiscono energia di eccitazione in un certo punto dove possono innescare una separazione di carica, il che vuol dire accumulare energia; questi sono sistemi potenzialmente utilizzabili per la cosiddetta “fotosintesi artificiale”, cioè per la conversione di luce in energia chimica.

Altri sistemi che studiamo invece sono utili per la connessione diretta di luce ed elettricità nei sistemi fotovoltaici, che possono essere sistemi organici o sistemi ibridi.

 

Nello scorso numero abbiamo intervistato Luca Mercalli, che a proposito di clima ha detto “La politica ha capito la portata del problema, è conosciuto e recepito almeno dall’attuale governo. Il problema è la coerenza degli atti di governo: facciamo tutto e il contrario di tutto per il clima. Non c’è la fermezza di assumere la direzione della sostenibilità ambientale”.

Pensi che tale affermazione valga anche per l’energia?

Penso che sia una fotografia molto fedele della situazione. Mi è capitato spesso di avere a che fare con politici a vari livelli: da quello locale, a quello Nazionale a quello Europeo. Hanno orecchiato il problema, perché ormai ne sono consapevoli un po’ tutti, c’è però purtroppo il problema del cosiddetto “cortotermismo” del politico: ogni 5 anni deve essere rieletto e quindi la sua principale preoccupazione resta quella. E non è detto che vada in coerenza con le sue pur buone intenzioni, che poi spesso non concretizza. Ad esempio, recentemente, c’è stata una riunione a Bruxelles sulla cosiddetta “Airbus delle batterie”, ovvero un consorzio europeo istituito per non rimanere indietro rispetto agli sviluppi che si hanno in Asia e Nord America, specie in relazione allo sviluppo dell’auto elettrica. Erano stati invitati 14 governi del continente: se ne sono presentati 13, mancava quello italiano.  Tanti si dicono favorevoli alla transizione alle auto elettriche e alle colonnine di ricarica, poi quando giunge il momento di andare concretamente in quella direzione, l’Italia non c’è.

Però non voglio parlare solo male della politica, perché i progressi che abbiamo avuto sono stati spinti da un’azione politica, soprattutto a livello europeo. L’Europa è stata decisamente il driver a livello mondiale della transizione energetica, cioè l’istituzione che ha spinto di più; i cinesi e gli americani sono venuti a ruota, ma ora ci stanno sopravanzando. E, badate bene, non è che l’Europa abbia spinto per la transizione energetica perché più buona, brava o sensibile all’ambiente. L’abbiamo fatto perché l’Europa è il continente che ha la migliore qualità della vita, ma anche il più basso livello di risorse naturali a cominciare da quelle energetiche. Quindi la nostra esigenza vitale è far sì che troviamo strade alternative. Politicamente l’Europa “ha fatto”. Per necessità, ma lo ha fatto. Rendiamo onore al merito.

Parliamo di Rinnovabili allora: quali sono le più promettenti attualmente?

Quando si parla di energia c’è generalmente un grosso equivoco, perché si tende a parlare solo di elettricità, mentre noi utilizziamo sia elettricità che combustibili. Faccio questa premessa importante: nei paesi ricchi i consumi energetici finali sono un quarto elettricità e tre quarti combustibili. Questo concetto lo capite guardando questa stanza: per illuminarla bastano 4 tubi al neon, mentre l’impianto di riscaldamento deve operare su numerosi metri cubi di spazio, mantenendo una temperatura molto più alta di quella esterna. È quindi intuitivo capire che serve più energia per scaldare questa stanza (bruciando gas) che per illuminarla o per far andare il computer (consumando elettricità).  Quando si discute di rinnovabili sui media si parla solo di elettricità, fateci caso. Bisogna fare attenzione a questo aspetto perché purtroppo il nostro mondo non va tutto a elettricità, e dico purtroppo perché sarebbe una buona cosa: da ingegneri sapete che i motori elettrici sono molto più efficienti di quelli a combustione. Stiamo andando in quella direzione, perché il mondo si sta progressivamente spostando verso l’elettrico. Ci arriveremo, ma servirà del tempo; negli Stati Uniti l’elettricità copre già circa il 40% degli usi finali, mentre in Europa siamo ancora sotto al 30%. È una transizione in atto, e che è auspicabile, perchè le tecnologie per produrre elettricità rinnovabile le abbiamo già e le principali sono l’eolico e il fotovoltaico al silicio. Se uno va a vedere i numeri si rende conto che sono in crescita impetuosa. Attualmente il fotovoltaico e l’eolico insieme producono quasi il 6% dell’elettricità mondiale: sembra poco, ma 15 anni fa era praticamente zero. Non è mai successo nella storia, tanto più con gli elevati consumi odierni, che nel giro di 15 anni una tecnologia arrivasse al 6% dell’elettricità prodotta a livello globale. Le rinnovabili più promettenti e consolidate sono fotovoltaico ed eolico; la ragione è molto semplice: sono macchine semplici da produrre e sono ripetibili in tutto il mondo, quasi come con una fotocopiatrice. Sostanzialmente tutti i pannelli fotovoltaici sono uguali e tutte le pale eoliche sono uguali. Sono quindi producibili in serie, a costi sempre più bassi. Siamo già nel pieno di una rivoluzione elettrica di cui i cittadini non sono ancora pienamente consapevoli. Tenete conto che in Italia la produzione da rinnovabili copre, a seconda di quanto piove o nevica (l’idroelettrico ha un peso importante) tra il 30 e 40% della produzione elettrica nazionale. Siamo già un paese molto rinnovabile, più di quanto la gente mediamente sospetti.

 

Esistono alternative al fotovoltaico al silicio?

Sì, sulla carta ne esistono tante, ma la probabilità che possano sostituire il silicio – che nel giro di pochi anni arriverà  a un TeraWatt di potenza globale installata, con costi bassissimi e durata degli impianti sulla scala dei decenni – sono praticamente nulle. Un pannello fotovoltaico messo in opera oggi tra 30 anni sarà ancora in funzione, senza richieste di significative manutenzioni: questa è la sua forza. Le tecnologie rinnovabili che stanno facendo principalmente la differenza sono eolico e solare fotovoltaico al silicio (sta crescendo anche il geotermico, ma molto più lentamente). Però insisto: stiamo parlando solo di elettrico; per quanto riguarda i combustibili la situazione è molto più arretrata, purtroppo. Questo è anche in qualche modo intuitivo: convertire la luce, che è una entità impalpabile, in elettricità, che è un’altra entità impalpabile è un conto, ma convertire la luce in qualcosa di solido o liquido, come un combustibile, è una sfida concettualmente e tecnicamente più complicata. Tant’è che la natura ci ha messo miliardi di anni per realizzare la fotosintesi naturale, ovvero la macchina meravigliosa che permette la vita sulla terra e che è esattamente un esempio di conversione di luce in combustibili, utilizzando lo scarto dei processi vitali: la CO2. Quello che avete mangiato oggi (verdura, carne) è di fatto un combustibile, che deriva direttamente o indirettamente dalla fotosintesi naturale. Se vogliamo produrre combustibili in laboratorio, con una fotosintesi artificiale, non dobbiamo produrre le sostanze che producono le piante: zuccheri, amidi, legno. Sarebbe troppo complicato e inutile. Dobbiamo produrre molecole molto più semplici e in maniera più efficiente della Natura stessa. Al momento si possono considerare due opzioni: (1) produrre idrogeno, attraverso il cosiddetto water splitting, cioè scindere la molecola d’acqua in idrogeno e ossigeno, rilasciando l’ossigeno in atmosfera e sfruttando l’idrogeno come vettore energetico; (2) ridurre la CO2 a metano, metanolo o altro, un processo ancora più complicato perché richiede un numero più elevato di elettroni.

Per quello che riguarda la produzione di idrogeno, si può fare in maniera diretta attraverso processi fotochimici, ma la domanda è: “conviene farlo”? Forse ha più senso utilizzare l’eccesso di produzione elettrica, soprattutto nelle ore di punta (pensiamo a mezzogiorno per il fotovoltaico) per inviare l’elettricità in elettrolizzatori che scindono direttamente l’acqua. Questa resta la strada più semplice, che ci permetterebbe di avere anche i combustibili dalla luce solare. Le macchine termiche che bruciano combustibili sono intrinsecamente inefficienti. Però i combustibili hanno il vantaggio di poter essere immagazzinati per un tempo praticamente indefinito, mentre l’elettricità è molto più difficile da immagazzinare (i telefonini si scaricano in fretta, quando non sono usati!). E poi va ricordato che la densità energetica dei combustibili li rende praticamente insostituibili in alcune applicazioni, come il trasporto aereo: la possibilità di avere grandi aeromobili a batterie è lontanissima.Dobbiamo tendere a un sistema energetico largamente elettrificato, ma avremo sempre bisogni di una quota di combustibili, per vari motivi.

 

E le altre tecnologie rinnovabili, come onde marine ad esempio?

C’è tantissimo ancora fare: il mare è una grande sorgente energetica, tra onde, correnti marine e maree. La buona notizia è che la natura non ci lesina le possibilità e neppure il cervello perché l’inventiva umana può risolvere problemi impensabili. Io sono ottimista sul fatto che si possa tecnicamente realizzare la transizione energetica alle rinnovabili nei prossimi decenni. I veri ostacoli sono quelli culturali, politici ed economici, non quelli tecnici.    

 

Quali sono quindi gli elementi tecnici potenzialmente critici nel passaggio al 100% di energie rinnovabili?

Un aspetto tecnico critico è quello “materiale”. Il concetto è molto semplice: noi non abbiamo problemi in merito alla disponibilità di fotoni: l’energia solare che cade sulla Terra è pari a  decine di volte il nostro fabbisogno, anche nelle stime più conservative. Parliamo di fabbisogno reale di energia solare convertita, perché quella che arriva sul pianeta è migliaia di volte superiore. Tuttavia per fare una stima attendibile occorre considerare la superficie del pianeta realmente utilizzabile, escludendo ad esempio gli oceani (che coprono i due terzi della Terra), le zone impervie o inaccessibili, le superfici necessarie per produrre cibo, ecc… Però, anche riducendo la superficie disponibile secondo la stima più conservativa, il Sole ci fornisce decine di volte l’energia necessaria ai fabbisogni della civiltà umana “moderna”. Questo problema quindi non c’è, ma la luce del sole come tale serve a poco: essa deve essere convertita in energia utile. E per produrre i convertitori e gli accumulatori di energia utile servono materiali in larga parte di origine minerale. Quindi, in ultima analisi, per produrre energia rinnovabile occorre “grattare” la crosta terrestre esattamente come abbiamo fatto con petrolio, carbone e gas per decenni. Quindi la transizione alle rinnovabili ci svincola dei limiti dell’astronave terra riguardo alla disponibilità primaria di energia, ma non riguardo alla disponibilità di energia finale, proprio perché l’energia primaria dei fotoni deve essere convertita. Facendo alcuni conti emergono criticità, alla luce del fatto che siamo 7,5 miliardi di abitanti e diventeremo 9/10, e nonostante siamo sempre più bravi e produrre più ricchezza con meno energia i consumi continuano ad aumentare (anche se meno rispetto a quanto era stato stimato 10 anni fa). D’altra parte non potrà andare diversamente visto che arriveranno altri due miliardi e mezzo di persone sul pianeta.
Insomma, la disponibilità materiale per produrre i dispositivi di conversione e accumulo delle rinnovabili resta per ora un punto interrogativo.

 

Quindi abbiamo energia solare sufficiente, ma scarseggiamo di materiali per catturarla e utilizzarla.

Io faccio sempre questo esempio: visto che abbiamo il problema delle auto a combustibili fossili, ipotizziamo di passare all’auto elettrica. La prima domanda è: “per far andare tutte le automobili elettriche dobbiamo costruire nuove centrali elettriche? Dovremmo eventualmente coprire tutta l’Italia di pannelli fotovoltaici e pale eoliche?” Ho fatto i conti, e ipotizzando che tutte le 37 milioni di auto attualmente circolanti in Italia venissero sostituite con un modello Tesla Model S, attualmente l’auto elettrica più lussuosa sul mercato e anche quella con i maggiori consumi, e ammettendo il chilometraggio medio annuo italiano (12000 km), ne risulta un numero abbastanza modesto: servirebbero infatti 80 TWh, che corrisponde a circa il 60% della nostra produzione rinnovabile. Quindi non è una quota improponibile: cioè aumentando la nostra produzione rinnovabile del 60% potremmo andare tutti con l’auto elettrica, cosa del tutto fattibile con una pianificazione ventennale. Resta il problema che se tutti, per assurdo, andassero a caricare la macchina nello stesso momento si genererebbe un problema di potenza istantanea disponibile, che è complesso ma affrontabile.

Il vero problema è invece la batteria della macchina. La batteria della Tesla è al litio e sta nella base del telaio. Per ogni automobile servono circa 10 kg di Litio. Facendo i conti, a livello mondiale, se da domani tutte le case automobilistiche iniziassero a produrre solo auto elettriche, bisognerebbe aumentare di 20 volte la produzione annuale di Litio, e questo potrebbe essere un serio problema. Facendo l’inventario di quelle che sono le riserve stimate di Litio (anche se non si sa con una grande precisione, come per tutte le risorse minerarie), viene fuori che sarebbe possibile aumentare di 20 volte la produzione annuale, ma alla lunga tale aumento non sarebbe replicabile. L’unica soluzione è quindi quella di riciclare le batterie. Una delle grandi prospettive, la più importante a mio parere, che c’è soprattutto per voi giovani, è quella di imparare a riciclare tutto quello che produciamo. Ricordate questo: tutto quello che noi usiamo, prima o poi diventa un rifiuto. Quando entriamo in un supermercato, dobbiamo pensare che dopo un po’ di tempo tutti quei prodotti diventeranno rifiuti. E finora per affrontare il problema abbiamo fatto dei buchi per terra (discariche) o utilizzato l’atmosfera come pattumiera (inceneritori): non può funzionare. Quindi il vero limite della transizione energetica non è l’abbondanza della luce, è la limitatezza delle risorse materiali e il loro uso sostenibile sul lungo termine.

 

“La scienza non è democratica” dice il dottor Burioni. Ovvero secondo lui non si può dare a tutti il diritto di parola su argomenti che contemplano una verità scientifica. Burioni combatte contro gli anti-vaccinisti, nel campo energetico si dovrebbe essere più drastici quando si parla di fonti fossili e rinnovabili?

Non sono più giovane, ma non sono vecchissimo. Quindi ho visto in questi ultimi vent’anni come siano cambiati gli umori. Vent’anni fa la tentazione di usare atteggiamenti forti per convincere le persone ce l’avevo. Mi sono però reso conto che la transizione energetica è talmente dirompente che posso tenere da parte qualsiasi istinto impulsivo, perchè sarà la transizione a travolgerci tutti.  Leggevo poco tempo fa un rapporto interessante sulla rivoluzione portata da eolico e fotovoltaico: è stata talmente impetuosa che le stesse aziende non se ne sono accorte. Questo report faceva l’analisi di 11 grandi aziende multinazionali nel settore dell’elettricità e riportava la classifica (come nel medagliere olimpico) delle imprese meglio posizionate rispetto al passaggio alle rinnovabili. Non ci crederete ma l’azienda più avanti al mondo nella transizione elettrica è ENEL. Questo è stato facilitato dal fatto che hanno messo a capo di Enel i manager più illuminati di Enel Green Power, il settore aziendale dedicato alle rinnovabili. Oggi ENEL è considerata l’unica azienda elettrica a livello mondiale che potrà arrivare alla decarbonizzazione completa entro 20 anni e forse anche meno. E una volta tanto siamo i primi in classifica! Dico “siamo” perché tutto sommato è ancora un’azienda a sostanziale partecipazione pubblica. Questo cambiamento ha travolto molte aziende del settore.  Quindi è inutile arrabbiarsi o pensare di andare a scuotere la gente, perché il cambiamento quando arriva non lo ferma nessuno, è sempre stato così. Stiamo tranquilli, le cose continueranno a procedere perché c’è un driver economico poderoso. Il prezzo di produzione rinnovabile è crollato: oggi alle 12:00 in Italia l’elettricità che costa meno è la fotovoltaica. È quella che producono i cittadini! In Italia 10-20 anni fa c’erano alcune decine di centrali elettriche di grande potenza che garantivano la copertura della domanda. Oggi in Italia ci sono 600 mila produttori di elettricità. Tutti quelli che hanno un pannello sul tetto sono produttori di elettricità, siamo passati da 200 a a seicentomila. Sta cambiando il mondo, bisogna prenderne atto e quindi smettere di correre dietro alle più conservative multinazionali degli idrocarburi – e tra queste spesso si segnala ENI – e cominciare a guardare avanti.

 

Cosa pensi della nuova SEN, la Strategia Energetica Nazionale, che definirà le posizioni italiane in merito allo sviluppo energetico nei prossimi anni?

È una strategia improntata sul gas. L’idea è far diventare l’Italia un hub del gas. Però questa strategia finora non ha funzionato perché la Germania non è d’accordo: è in atto una guerra commerciale tra Italia e Germania per diventare il principale distributore europeo del gas. L’Italia lo prenderebbe da sud (Anatolia, Grecia, Azerbaijan e zona del Caspio), la Germania invece da nord, scavalcando paesi nordici e Polonia e facendo accordi con la Russia, e dal Mare del Nord. Ma ci sono al contempo due fatti paradossali. Innanzitutto il gas incomincia a perdere le sue credenziali di combustibile amico del clima, perché le condotte arrivino a perdere lungo la strada sino al 3-4% del gas trasportato. Questo non è sorprendente se si pensa al gasdotto siberiano che parte dalla Siberia settentrionale con un tubo di 1,2 m di diametro e arriva fino al tubo della caldaia di casa di qualche millimetro di diametro, attraverso una miriade di condotte a pressione diversa. Il gas metano è 70 volte più potente della CO2 per l’effetto serra: quindi le “credenziali climatiche” sono calate negli ultimi anni, anche se ovviamente resta meno inquinante del carbone, a seguito della combustione. Altro problema del gas è che i consumi sono in calo. Perché? Perché il fotovoltaico l’ha surclassato. In Italia, nelle ore diurne, noi producevamo elettricità principalmente col gas. Oggi nelle ore diurne si produce principalmente col fotovoltaico, per nove mesi l’anno. L’Italia consuma attualmente 70 miliardi di metri cubi di gas e 10 anni fa ne consumava 85. Le previsioni erano che oggi avremmo dovuto essere a 100. Quindi si sono sbagliati del 30%. Nel frattempo però ENI ha fatto contratti a lungo termine per l’acquisto del gas, e quindi lo deve comprare e lo deve mettere da qualche parte. Ad esempio abbiamo un deposito geologico di gas a Minerbio, a pochi km da Bologna, che da 40 anni viene utilizzato come deposito del gas di importazione. Si sta lavorando per spingere più gas all’interno di quel deposito sotterraneo, ad una pressione più elevata di quella originaria del giacimento, che si trova in prossimità di una faglia sismica. Potrebbe non essere idea del tutto geniale. Ho fatto gli opportuni rilievi al Ministero competente, che ha certificato che non vi sono rischi. Speriamo ovviamente che abbiano ragione.

 

A livello di ciclo di vita, per i pannelli solari qual è l’impatto ambientale complessivo?

Un parametro cruciale è il cosiddetto Payback Time, cioè il tempo che il pannello impiega, nel corso della sua vita, per produrre una quota di elettricità pari a quella servita per fabbricarlo e dismetterlo. Questo valore è crollato: nel 2000 si parlava di 10 anni, ed era comunque positivo perché la vita di un pannello è almeno 30 anni. Oggi invece – a seconda della latitudine a cui ti trovi (in Sicilia è un conto, a Milano un altro) – siamo nell’ordine di 6 mesi-2 anni. Ormai su questo ci sono pochi dubbi perché la produzione industriale dei dispositivi è diventata più efficiente e la resa dei pannelli è cresciuta. È stato ridotto anche lo spessore di silicio fotoattivo, da centinaia a decine di micron. Il silicio è comunque una parte infinitesima del pannello, la maggior parte è rame, plastica, alluminio, argento. 

È quest’ultimo “il grosso” del riciclo. Per quanto riguarda il ciclo di vita, esiste un consorzio internazionale che si chiama PVcycle.org, per il riciclo dei pannelli fotovoltaici. Smaltire un pannello fotovoltaico è un’operazione relativamente semplice già oggi.  Il fotovoltaico è un settore industriale che oggi produce pannelli che verranno smaltiti fra 30-40 anni (e forse 50) e già oggi sa come smaltirà quei rifiuti, e tra 30-50 anni lo saprà fare molto meglio di come lo fa oggi. C’è un altro settore elettrico, quello nucleare, che oggi non sa ancora come smaltire le scorie prodotte 60 anni fa. Quindi anche qui siamo in una rivoluzione totale. Quando parliamo di riciclo per pannelli fotovoltaici o pale eoliche, stiamo parlando di dispositivi interamente riciclabili. E lo saranno ancora di più quando ce ne sarà la necessità, che ancora è lontana nel tempo. Su questo tema la mia preoccupazione è sostanzialmente zero, lo dico tranquillamente.


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