Energia sostenibile…. ma quanto?

di Francesco Lalli


Fig 1. Emissioni di CO2 equivalente per le diverse modalità di produzione dell’energia [fonte: K. Treyer et al.: Human health impacts in the life cycle of future European electricity generation; Energy Policy 74 (2014). NDA: non considerano l’effetto sulla salute dovuto al contributo fornito ai cambiamenti climatici.]
“I problemi ambientali sono complessi e, in quanto tali, devono essere affrontati con dei numeri. Dichiararsi sostenibili e praticare economia circolare va bene se lo si dimostra con dei fatti e dei risultai in termini di kg CO2 e di petrolio risparmiati. […] Importante è l’approccio quantitativo che deve venir fuori dall’Università in primis”.  Così ci diceva Luca Mercalli nello scorso numero, e oggi proviamo a raccogliere la sfida, dando qualche cifra indicativa sugli impatti ambientali connessi a diverse tecnologie per la produzione di energia.

Andiamo con ordine. Per prima cosa dobbiamo introdurre lo strumento per misurare gli impatti ambientali in questione: si chiama Life Cycle Assessment (LCA), che è, secondo la definizione della SETAC (Society of Environmental Toxicology and Chemistry), “un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici ed ambientali relativi ad un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione ed il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale”

Fig. 2: Emissioni di NO2 e SO2 per la produzione di calore ed elettricità [fonte: Eurelectric renewables action plan (2011)]
Molti studi si sono occupati di quantificare gli impatti legati alla produzione di energia; qui, pur con le necessarie semplificazioni proveremo ad illustrarne alcune. La Fig. 2 e la Fig. 3  illustrano i quantitativi (g/Kwh) di inquinanti emessi durante il funzionamento delle diverse tipologie di centrali. Le emissioni di composti dello zolfo (SO2) e dell’azoto (NO2) sono particolarmente pronunciati per le centrali a carbone nelle sue varie forme (tra cui lignite) e a Olio combustibile, (derivato del petrolio). Tra le rinnovabili spiccano, pur con valori ben più contenuti, le emissioni da biomasse legnose. Andamento analogo, pur con valori numerici differenti, si ha in Fig.3 per emissioni da PM e Composti Organici Volatili.

 

Fig. 3: Emissioni di PM e VOC per la produzione di calore ed elettricità [fonte: Eurelectric renewables action plan (2011)]
Nell’intervista alla dott.ssa Gentilini sul numero 1/2017 avevamo illustrato gli effetti sulla salute di questi inquinanti.
Una pubblicazione del 2014 con uno studio di LCA mostra le stime dell’impatto sul clima e sulla salute umana delle diverse forme di produzione energetica considerando l’evoluzione tecnologica attesa al 2030, stimando inoltre l’apporto di tutte le fasi che concorrono alla produzione di energia, dalla costruzione dell’impianto, al suo uso, fino alla dismissione.

In Fig. 1 vengono riportate a sinistra le fonti fossili e a destra nucleare e rinnovabili. Per ciascuna fonte sono presenti 6 istogrammi che illustrano le emissioni in termini di sola CO2 equivalente allocati alle diverse fasi del ciclo di vita di un impianto.

I risultati numerici sono riportati nel riquadro rosso in alto. Quello che balza subito all’occhio è il differente ordine di grandezza: decisamente spostato a sfavore delle fonti fossili  e allocato principalmente tra gli impatti diretti, mentre per le rinnovabili gli impatti, anche se inferiori di 10-100volte sono concentrati, come logico aspettarsi, nella fase di costruzione dell’impianto. Infine, lo stesso studio prosegue riportando, a seguito di una analisi che tiene conto del ciclo di vita delle diverse forme di produzione di   energia, l’indice DALY (disability adjusted life-years) che, implementato dall’Organizzazione mondiale della Sanità (WHO,2008) rappresenta la riduzione di aspettativa di vita delle persone combinando gli anni di vita persi per decesso prematuro con gli anni di vita spesi con disabilità dovute all’oggetto dello studio. L’indice mette insieme gli effetti dannosi prodotti sulle diverse matrici ambientali, per poi andare a quantificare l’impatto sulla salute umana.

Fig. 4: Indicatore di perdita di aspettativa di vita per le diverse modalità di produzione di energia. [fonte: K. Treyer et al.: Human health impacts in the life cycle of future European electricity generation; Energy Policy 74 (2014). NDA: non considerano l’effetto sulla salute dovuto al contributo fornito ai cambiamenti climatici.]
In Fig.4 è riportato il risultato di tale studio. Anche in questo caso i risultati vanno letti nel riquadro rosso posto in alto, e anche in questo caso corrono da 1 a 3 ordini di grandezza di differenza tra fonti a base di carbone e le altre.

Non vengono riportate in tale studio tutti quei vettori energetici e tecnologie che potrebbero potenzialmente svolgere un ruolo significativo nel 2030 (come l’energia marina o il fotovoltaico accoppiato con sistemi avanzati di storage, ma che non sono ancora giunti ad una fase di sviluppo sufficiente a fornire dati attendibili.

[NDA: per ragioni di spazio e di sintesi divulgativa, non sono qui riportati i dettagli sull’analisi che i tecnici del settore potrebbero richiedere, preferendo una sintesi che, anziché concentrarsi sui singoli valori numerici e le loro giustificazione, cerca di cogliere il senso generale dei dati e gli ordini di grandezza in gioco. Per informazioni scientifiche di dettaglio si rimanda alla pubblicazione scientifica.]


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